Il Manifesto dell’Intelligenza Artificiale: parliamone
Il Manifesto dell’Intelligenza Artificiale è una realtà.
Ce n’era bisogno dopo tutte le regolamentazioni che abbiamo visto fino ad ora?
Diciamo di sì, ma per una ragione molto specifica.
L’Unione Europea vuole regolamentare l’Intelligenza Artificiale, partendo dal presupposto che quest’ultima sia fondamentalmente “pericolosa” per gli esseri umani.
Gli Stati Uniti stanno cercando di definire le linee guida per creare un algoritmo che limiti i rischi dell’essere umano.
E in Italia?
Nel nostro paese 4 esperti di Intelligenza Artificiale hanno messo nero su bianco un manifesto in sette punti per gettare le basi del rapporto che ci dovrebbe essere fra esseri umani e IA.
Lo abbiamo analizzato a fondo in questo articolo, partendo da un’introduzione molto particolare…
L’Introduzione al Manifesto dell’Intelligenza Artificiale
«Un manifesto sull’intelligenza artificiale dovrebbe comprendere le stesse parole d’ordine che riguardano ogni oggetto: il fine non giustifica i mezzi. Inoltre, un manifesto sull’Ia dovrebbe porsi degli obiettivi pragmatici. Per esempio, dovrebbe dare indicazioni riguardo ai diritti delle macchine e ai loro doveri, che riguardano le persone. Inoltre, dovrebbe definire con precisione i confini dell’Ia».
Questo testo è stato generato da una intelligenza artificiale, GPT-3, alla quale gli autori hanno chiesto cosa dovrebbe contenere un manifesto sull’intelligenza artificiale.
L’intelligenza artificiale (Ai in inglese, Ia in italiano) è la tecnologia del momento. Non c’è articolo giornalistico che non menzioni i suoi progressi, o piuttosto che non evidenzi le nostre crescenti paure di esserne spodestati.
I 7 punti, commentati
1. L’IA DI CUI PARLIAMO È QUELLA DEBOLE
Prima di valutarne le conseguenze è il caso di introdurre alcune definizioni. L’intelligenza artificiale è una disciplina che descrive come poter rendere le macchine capaci di eseguire compiti tipici dell’intelligenza umana.
Oggetto di questo manifesto è l’Ia ristretta (o “debole”), applicata oggi in campi specifici. Il manifesto non riguarda invece quella chiamata Agi, ossia l’“intelligenza artificiale generale”, forse possibile, ma che esula dal nostro orizzonte.
Questo tipo di Intelligenza Artificiale – che non ci piace chiamare “debole” – viene utilizzata per risolvere delle problematiche focalizzate su un dominio. Se si vuole realizzare dei sistemi più complessi, è opportuno affiancare più Intelligenze Artificiali ristrette. Questa si differenzia dall’Intelligenza Artificiale Generale che ad oggi, pur avendo visto delle prime avvisaglie di recente, rappresenta un obiettivo ancora lontano – e ancora molto legata a rappresentazioni cinematografiche come Terminator e simili.
2. L’IA SI BASA SU DATI, COMPUTER E ALGORITMI
Gli ingredienti di base dell’intelligenza artificiale sono gli stessi di tutte le applicazioni informatiche: i dati, i computer e gli algoritmi, che insieme formano un sistema.
I dati hanno estrema importanza, perché devono essere disponibili in grandi quantità e utilizzabili dai computer, affinché i risultati della elaborazione siano i più precisi possibili. È in corso un processo di “datificazione” del mondo: la generazione di dati da ogni attività che finora non era pensata per essere digitalizzata.
I computer, sempre più capienti e veloci, usano gli algoritmi per elaborare i dati.
Gli algoritmi, in sintesi, sono sequenze di istruzioni, linee di codice, che il computer esegue. L’algoritmo è la logica che separa gli input dagli output, trasformando così i dati in informazioni.
Se in passato gli algoritmi eseguivano solo una serie di istruzioni predeterminate dal programmatore, con risultati sempre spiegabili, interpretabili e riproducibili, oggi esistono algoritmi che imparano dai dati che vengono loro sottoposti. In altre parole, essi estraggono – statisticamente – modelli non facilmente spiegabili e interpretabili, generando un problema di trasparenza e riproducibilità del procedimento (noto come problema della “black box”). Gli algoritmi più avanzati, basati su procedimenti algebrici, usano una sorta di apprendimento automatico ispirato a quello umano.
Senza l’avanzamento tecnologico e lo sviluppo dell’hardware che ha permesso di velocizzare le memorie e aumentare la capacità di calcolo, non avremmo potuto sviluppare algoritmi, i quali non sarebbero potuti diventare modelli e non avremmo raggiunto il livello di Intelligenza Artificiale che conosciamo adesso.
I dati poi, al giorno d’oggi, sono fondamentali perché la nostra società si sta basando su di essa: noi ci muoviamo con i dati, li generiamo e diamo loro valore.
L’IA si sviluppa e si evolve attraverso la capacità nostra, delle nostre aziende, della nostra società di generare dati e, con gli algoritmi (white-box o black-box), riesce a generare valore e a possedere valore intrinseco, perché di fatto a sua volta gli output dell’Intelligenza Artificiale diventano dati e valori per altre analisi, per altre Intelligenze Artificiali – e anche per farci capire un po’ meglio il nostro stesso modo di vivere, alle volte.
3. L’IA NON CI SOSTITUIRÀ
Dobbiamo affermare con forza che l’intelligenza artificiale non ci sostituirà, né ci emarginerà.
Con l’Ia, infatti, non possiamo fare tutto, perché:
► i dati valgono più degli oggetti che li creano;
► le informazioni estratte valgono più dei dati;
► la conoscenza vale più delle informazioni;
► la saggezza derivante dalla conoscenza, che è solo umana, è inestimabile.
Noi non possiamo che essere d’accordo su questo. Noi siamo allineati sul fatto di utilizzare l’Intelligenza Artificiale come strumento che ci supporti e che ci aiuti nello svolgere operazioni più ripetitive, anche dal punto di vista cognitivo, in modo da liberarci la mente e permetterci di focalizzarci su attività a maggior valore aggiunto, attività dove noi umani siamo sicuramente insostituibili.
4. VERSO L’IA SERVE TECNO-OTTIMISMO
L’intelligenza artificiale non può fare tutto e non deve far paura.
Due sono i rischi da evitare:
► il tecno-utopismo, che promette troppo: «L’Ia non ha limiti tecnici, economici ed etici»
► il tecno-pessimismo, che spaventa con visioni distopiche: «L’Ia ci sostituirà».
Questo manifesto propone, invece, un tecno-ottimismo che passa attraverso un utilizzo consapevole e costruttivo delle tecnologie.
La macchina non ha un fine: siamo noi che glielo diamo. La macchina è solo l’insieme delle sue parti (computer, algoritmi e dati); noi invece siamo più dell’insieme delle nostre parti in quanto coscienti e intelligenti.
L’intelligenza artificiale non è qualcosa che subiamo passivamente, ma è creata attivamente dalle persone. L’uso della tecnologia ha migliorato la qualità della vita umana (ad esempio in salute e sicurezza) e continuerà a farlo anche con l’Ia.
Non dovremmo pensare che l’Ia sia in grado di dare senso alle decisioni: è solo uno strumento di calcolo, anche se sempre più sofisticato.
Noi siamo un organismo e siamo esseri attivi e animati, le macchine hanno i meccanismi e hanno un’autonomia inanimata.
Noi siamo esseri di senso capaci di immaginare, le macchine possono solo fare elaborazioni e non hanno emozioni.
Noi siamo destinati a una irreversibile fine, le macchine servono solo per i nostri fini reversibili.
Appreziamo molto questo punto poiché mette al centro la responsabilità dell’azione umana in relazione all’Intelligenza Artificiale, poiché quest’ultima esiste in quanto esistono gli esseri umani che decidono che cosa essa debba fare.
5. L’IA AIUTA L’ESSERE UMANO A FARE MEGLIO E A FARE COSE NUOVE
L’intelligenza artificiale supporta l’essere umano in due direzioni:
a) Fare cose che potremmo già fare, ma ora possiamo fare meglio.
Le macchine sono più veloci, più economiche, più facili, di precisione superiore; tra gli esempi, la meccanizzazione dell’agricoltura ha generato lo sviluppo dell’industria; successivamente l’automazione nell’industria ha generato lo sviluppo del terziario; e infine oggi l’automazione del terziario, grazie all’Ia, sta generando nuovi lavori.
I sistemi di Ia con i dati raccolti ci consentono di conoscere meglio, tra gli altri, il mercato, gli impianti e i clienti finali. Non è difficile immaginare algoritmi che aiutino le direzioni commerciali a elaborare strategie, lanci di prodotti, piani di marketing, politiche di acquisti o finanziarie.
b) Fare cose nuove, che non si potevano fare prima.
Quando tutto cambia velocemente, chi più sperimenta più ha probabilità di successo e le probabilità aumentano solo per chi mette in conto di poter sbagliare.
Sbagliare, nel digitale, ha un costo marginale quasi nullo. È una situazione fortunata che dobbiamo cogliere. In fabbrica, ad esempio, grazie a tecnologie a costi accessibili, è possibile sensorizzare e connettere macchine, impianti e processi per estrarre dati e fare previsioni un tempo lunghe e onerose.
I tecnici, con la loro consapevolezza, individuano i dati corretti da raccogliere; in tal modo potranno esprimere al meglio tutte le loro potenzialità migliorando insieme se stessi, l’azienda e l’intera società.
A noi umani, quindi, il compito fondamentale del giudizio sulle elaborazioni, la parte nobile, quello che una persona sa fare meglio.
Se infatti lasciamo fare alle macchine quello per cui sono adatte, daremo alle persone la possibilità di essere sempre meno “Manodopera” e sempre più “Testadopera”, ossia trarre vantaggio dall’uso della migliore nostra risorsa: la testa.L’intelligenza artificiale è per la testa quello che la leva è per la mano: ci consente di fare velocemente e meglio ciò che noi umani ci proponiamo di fare.
Ogni volta che l’Intelligenza Artificiale viene vista come forza del bene che ci aiuta a fare meglio e a fare cose nuove, ci piace. Ci piace ancora di più che il Manifesto sottolinei che l’Intelligenza Artificiale creerà nuovi lavori (invece di sottolineare che “ruberà” il lavoro a milioni di persone).
Le strategie che vengono poi sottolineate («lanci di prodotti, piani di marketing, politiche di acquisti») sono già soluzioni concrete che rientrano nell’ambito dell’analisi predittiva, ovvero sistemi che permettono agli imprenditori di ottenere modelli previsionali sulla base dei quali i manager sono aiutati nel prendere decisioni. Poi sappiamo bene che le decisioni sono prese dai manager, ma hanno a disposizione uno strumento che li aiuta a prendere decisioni migliori.
Ora, cosa possiamo fare con i dati che raccogliamo? Come dice il Manifesto, possiamo creare dei modelli previsionali che ci dicono quando, con maggior probabilità, la macchina smetterà di funzionare, in modo da programmare meglio la manutenzione, intervenire quando necessario, diminuire i costi di manutenzione, produrre di più e produrre meglio.
Questo permette anche di togliere ai tecnici le mansioni più ripetitive sia manuali che cognitive, le quali impegnano la mente dell’operatore, ma senza portare valore aggiunto. Talvolta è possibile anche delegare alla macchina alcune decisioni, ma devo essere io a decidere cosa e come delegare.
6.COSA POSSIAMO FARE, COSA DOBBIAMO DECIDERE, COME VOGLIAMO ESSERE
L’intelligenza artificiale non è un vaso di Pandora, non ha un destino ineluttabile: è nelle mani, nel cuore e nella testa degli esseri umani decidere come usarla, e come fare in modo che protegga le persone e la loro privacy.
Per Alvin Toffler gli analfabeti del XXI secolo non saranno quelli che non sanno leggere e scrivere, ma quelli che non possono imparare, disimparare e reimparare. Nessuno di noi può permettersi di non imparare, perché il “ri-apprendimento” non è più un lusso: è una necessità, perché le macchine sono necessariamente analfabete, le persone non possono più esserlo.
I grandi cambiamenti, quelli che ci hanno fatto fare balzi avanti, non sono venuti da una idea di business o da un desiderio di guadagno, ma dalle menti che hanno esplorato il sapere in lungo e in largo per il piacere di farlo e per il desiderio di liberare il potenziale umano ancora inespresso.
Questo continuo processo libererà tempo per le persone, consentirà migliori condizioni di lavoro e di vita; occorrerà che anche il legislatore faccia sì che esso si tramuti in anche prosperità e benessere diffusi.
Di conseguenza, i leader e i policy maker stessi devono avere una buona conoscenza delle implicazioni dell’Ia.
Questo punto ci riporta con i piedi per terra. Siamo noi a decidere come utilizzare l’Intelligenza Artificiale, la quale in sé è un’evoluzione creata dalla conoscenza umana. Abbiamo studiato, siamo andati avanti con la matematica, la statistica, fino a realizzare questi modelli matematici.
Al di là dello scopo di guadagno e business, l’Intelligenza Artificiale è uno strumento che sta facendo avanzare la civiltà umana. Questo è bene ricordarlo perché siamo noi a decidere ciò che fa l’Intelligenza Artificiale, come lo fa e perché lo fa.
Così come altre tecnologie come la ruota ci ha permesso di spostarci più velocemente, così l’Intelligenza Artificiale ci permetterà di guadagnare tempo, sia a livello personale che a livello di business. Naturalmente questo deve essere tenuto presente anche dai leader e dai policy maker perché l’IA avrà sempre più peso, andrà sempre a toccare più tutti i settori, tutti gli ambiti, perché appunto, è una parte e un’evoluzione della nostra civiltà.
7. COME AGIAMO, COSÌ DIVENTIAMO
Noi italiani, per salvare la cultura umanistica e diffonderla, dobbiamo da una parte recuperare il terreno perso sul fronte delle competenze informatiche diffuse, dall’altra far leva sulle nostre peculiarità derivanti dalla nostra storia, dalla capacità di far emergere il bello, dall’empatia, dalla facoltà di giudizio.
Nell’era dell’intelligenza artificiale le risposte sono facili e convenienti, ma le domande intelligenti sono poche e difficili. Per tale ragione invitiamo persone con competenze multidisciplinari a riflettere insieme su questi temi. Così quando il futuro ci troverà, ci faremo trovare pronti, poiché come immaginiamo il nostro futuro, così agiamo; come agiamo, così diventiamo.
Immaginare il nostro futuro ci fa agire in un certo modo, e come agiamo in qualche modo ci trasforma.
A noi piace pensare che ci fa diventare delle persone migliori e che saranno quelle che diventeremo.