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State of AI 2022 di Deloitte: parliamone

È uscito lo State of AI per il 2022 della Deloitte. Vediamo come la più grande azienda di consulenza consigli imprenditori e manager.

FRANCESCO:
Ecco come si introduce lo State of AI della Deloitte: il mondo del lavoro, a causa della pandemia, della crisi energetica e delle materie prime e della grande dimissione, è molto cambiato. Quindi ci siamo tutti resi conto che non è possibile continuare a fare business allo stesso modo di sempre. L’Intelligenza Artificiale può servire per affrontare questo cambiamento. Infatti, adesso non si parla più di efficientare l’azienda con l’Intelligenza Artificiale, ma di creare nuove opportunità con essa. Per farlo, è necessario eseguire quattro azioni principali.
1 – Investire in cultura e leadership
2 – Trasformare le operazioni
3 – Orchestrare tecnologie e talenti
4 – Selezionare i casi d’uso di grande valore

Ma facciamo giusto una panoramica generale dello studio. Su un bacino di circa 2620 business leader a livello globale, il 94% di questi ritiene che l’Intelligenza Artificiale sia una tecnologia critica per ottenere successo nei prossimi cinque anni. Il 79% degli intervistati ha dichiarato di aver implementato su vasta scala tre o più applicazioni di Intelligenza Artificiale. Il 76% vuole continuare ad investire in AI, rispetto all’86% dell’anno scorso. Al momento solo il 3% ha dichiarato di voler ridurre gli investimenti. I restanti continueranno ad investire oppure non sono sicuri di che cosa fare.

FEDERICO:
Come possiamo spiegare una riduzione del 10% degli investimenti in AI? Secondo noi ci sono aziende che ci hanno ascoltato dall’inizio del podcast e hanno già investito, quindi non sono nuove a questa tecnologia. Chiaramente rientrano in quelli che continuano a investire e non nei nuovi pionieri. Questo potrebbe spiegare la percentuale in meno delle aziende che investono, anche perché con il passare del tempo l’AI inizia ad essere un prodotto da scaffale, quindi alcune soluzioni che possono risolvere già dei piccoli problemi o delle piccole automazioni sono già disponibili, quindi non si fanno grandi investimenti per introdurre l’AI. Sta diventando, appunto, quello di cui parliamo spesso: una commodity, ossia una tecnologia che abbiamo acquisito e amalgamato e adesso non ci aspettiamo più Terminator in azienda, ma un compagno di lavoro.

FRANCESCO:
È il risultato dell’evoluzione, dell’informazione e della divulgazione. Possiamo dire che in qualche modo abbiamo fatto anche noi la nostra parte.

FEDERICO:
Riprendendo anche il 79% degli intervistati che ha implementato su vasta scala tre o più applicazioni di IA. Questo lo vediamo anche noi di questi tempi, soprattutto negli ultimi periodi. Dopo aver provato una prima soluzione di AI, i problemi in azienda iniziano ad essere più evidenti come problemi risolvibili da parte dell’Intelligenza Artificiale, quindi non è più una sola applicazione, ma si aggiunge un’applicazione dopo un’altra anche su diversi settori, che sia di computer vision, natural language processing, analisi predittiva e così via. C’è sicuramente un apprezzamento del concetto di Intelligenza Artificiale che va a toccare più di un problema, con più di una soluzione.

FRANCESCO:
Ritieni sia fisiologico che un’azienda, una volta che ha sperimentato una specifica soluzione di Intelligenza Artificiale, decida di provarne altre su altri settori?

FEDERICO:
Dipende dal risultato e da quanto ci credevano. Se l’aspettativa è alta e il risultato è alto, vogliono continuare ad avere questi risultati. E quindi cercheranno di ottimizzare altre aree e altri punti in cui magari non era neanche concepito o percepito come problema e vedono che anche lì può esserci un intervento di questo genere per automatizzare. Il 94% ritiene che l’Intelligenza Artificiale sia una tecnologia critica per raggiungere il successo nei prossimi cinque anni. Questo lo dicevamo anche noi, quindi siamo in linea con il pensiero di Deloitte.

FRANCESCO:
Questa volta ci ha dato ragione qualcuno più grande di noi! E vediamo allora chi è che ha seguito queste necessità. Il centro dello State of AI della Deloitte si basa sulla costruzione di quattro quadranti, molto simile ad un diagramma cartesiano, dove sull’asse delle X c’è il numero di tipologie di applicazioni di IA che sono state totalmente implementate. Sull’asse delle Y c’è il numero di risultati di alto livello ottenuti. Va specificato che nello State of AI della Deloitte viene ripetuto il concetto di “high degree”, inteso come “alto livello”, per l’appunto. Ora, nel quadrante in basso a sinistra, dove ci sono le aziende con poche applicazioni e pochi risultati ci sono gli Starters, coloro che hanno cominciato tardi ad investire e hanno meno linee guida su questo argomento, e rappresentano il 28% degli intervistati. Fondamentalmente sono arrivati solo adesso nel mondo dell’Intelligenza Artificiale e, non avendo effettivamente linee guida per portare l’Intelligenza Artificiale in azienda e ottenere degli ottimi risultati, sono rimasti un po’ indietro. Potremmo rapportarli ai “laggards” di McKinsey, quelli che sono arrivati tardi a fare investimenti e hanno ottenuto meno risultati. Nel quadrato in basso a destra, ossia aziende che hanno tante applicazioni, ma pochi risultati, ci sono gli Underachievers, ossia coloro che ottengono meno risultati della media. Sono coloro che sviluppano e implementano molto, ma hanno poche linee guide per riuscire ad ottenere risultati, e rappresentano il 22%. Buona volontà, molta curiosità, ma manca il metodo per ottenere risultati. Nel quadrante in alto a sinistra ci sono le aziende che hanno molti risultati, pur considerato che hanno poche applicazioni. Sono i Path-seekers, cioè quelli che hanno delle linee guida ottimali per portare avanti i progetti, ma ancora non hanno scalato le varie tipologie di AI, e rappresentano circa il 24%. Nel quadrante in alto a destra ci sono le aziende con molti risultati e molte applicazioni, i cosiddetti Transformers. Sono coloro che hanno investito molto in Intelligenza Artificiale e hanno implementato delle linee guida collegate all’ottenimento dei risultati e rappresentano il 27%. In poche parole, secondo Deloitte, è necessario implementare tante soluzioni e bisogna farlo anche bene. Nel momento in cui ci sono queste implementazioni, le aziende si trovano comunque di fronte a delle sfide sia ad iniziare il progetto che a scalarlo. Quando lo iniziano, cioè quando sono in fase di start-up, le aziende fanno fatica a dimostrare il valore di business del progetto, sentono forte la mancanza di un impegno esecutivo e hanno difficoltà a scegliere la tecnologia giusta di Intelligenza Artificiale. Una volta che il progetto è partito e l’obiettivo diventa scalarlo, vengono a mancare i fondi, le skill tecniche (probabilmente per mancanza di talenti) e, anche qui, non si sa come scegliere le giuste tecnologie di IA.

FEDERICO:
C’è una cosa interessante da notare. Se togliessimo il termine “Intelligenza Artificiale” dalle sfide, sembrerebbero difficoltà che puoi trovare in qualsiasi progetto software: ha un database e un’interfaccia grafica. Nel mezzo c’è una parte fondamentale di AI che cambia le regole del gioco in quel progetto. Ma alla fine, guardando anche i punti che ha sollevato Deloitte, è un progetto con gli stessi problemi di un progetto software (fondi, skill tecniche etc.). Scegliere le tecnologie giuste è comunque un problema di software. Spesso anche i più bravi sviluppatori, se non trovano il framework giusto e l’archittettura giusta, iniziano un progetto senza basi. Riprendiamo quindi il fatto che l’IA dà valore aggiunto ai progetti software, ma inizia ad essere gestita nelle normali attività. Tre anni fa non era così. L’IA era qualcosa di eccezionale, di semi-sconosciuto, in cui noi arrivavamo come dei maghi a spiegare che non c’era alcuna magia.

FRANCESCO:
Tu vedi però tutto questo come una cosa positiva. Non pensi che diventare una commodity sia negativo.

FEDERICO:
Pensiamo all’Hype Cycle. Ci sono delle tecnologie innovative di IA, machine learning o deep learning che non stanno diventando una commodity. Mentre altri algoritmi che tre anni fa erano pazzeschi, adesso sono possono essere sviluppati in tempi più brevi, in progetti con condizioni più stringenti, cosicché sia il cliente industriale che il cliente con un budget limitato o con delle idee molto chiare riescono a vedere in tempi brevi la fine del progetto. Prima c’erano poche informazioni sui modelli di computer vision da trainare, pochi paper, ma adesso sono più comuni. Abbiamo già i nostri modelli preimpostati e li costruiamo con una forte dose di esperienza. Questo fatto sta passando non solo dalle singole realtà come noi, ma proprio a linea di mercato. La commoditization è un segno di enorme maturazione.

FRANCESCO:
Nonostante tutti questi problemi e tutte queste sfide, i risultati sono decisamente incoraggianti. Infatti, l’87% degli intervistati ritiene che i risultati arrivino nei tempi previsti o anche prima. Il primo risultato è relativo al risparmio dei costi.

FEDERICO:
Noi consideriamo sempre la parte di IA e deep learning come qualcosa che va in concomitanza con l’automazione. E non stiamo parlando solo del robot che sposta le cose, ma anche di automazione e snellimento di processi. Quindi questo si traduce in risparmio sia nei costi che nelle attività.

FRANCESCO:
Vediamo allora quali sono le 4 azioni che Deloitte codifica per ottenere successo attraverso un progetto di Intelligenza Artificiale. La prima azione è: investire in cultura e leadership.

FEDERICO:
Come dice Deloitte, la cultura è spesso chiave del successo e la forza lavoro è sempre più ottimista rispetto alle opportunità dell’AI. Questo lo posso confermare. Quello che cerchiamo di fare anche noi quando entriamo in azienda presso i nostri clienti, è quello di trasmettere questo messaggio di serenità: non stiamo introducendo Terminator. C’è un feeling diverso nell’apprezzare questa tecnologia.

FRANCESCO:
Anche se effettivamente ci siamo un po’ allontanati da quell’immaginario cinematografico, qualche residuo c’è ancora.

FEDERICO:
Fa sempre paura. Meno di due settimane fa un mio conoscente mi ha chiesto quando saremo conquistati dall’IA! Ne hanno tutte le ragioni. Noi abbiamo a che farci tutti i giorni e viviamo tutti i giorni lo stress di insegnarle cose che sono semplici per noi umani. Se esco fuori dalla mia nicchia tecnologica e guardo i giornali, sembra che Terminator sia in arrivo.

FRANCESCO:
In realtà questa cosa l’abbiamo detta anche nella Guida Definitiva. C’è anche da sottolineare che nel Manifesto dell’Intelligenza Artificiale vengono divisi i tecno-utopisti dai tecno-pessimisti, i quali pensano che prima o poi l’Intelligenza Artificiale ci conquisterà. Naturalmente il Manifesto spinge i lettori – così come fa Deloitte – verso il tecno-ottimismo.

FEDERICO:
L’82% degli intervistati ritiene che i propri dipendenti siano più ottimisti nei confronti dell’AI.
Posso confermare anche questo, è un trend che abbiamo visto crescere nel tempo, sia a livello di competenze, sia come approccio verso l’Intelligenza Artificiale. Adesso le persone sanno tecnicamente che cos’è un’AI e come si comporta, quindi hanno la formazione tecnica per utilizzarla, ma sanno anche che deve imparare, che ha bisogno di dati e così via. Questi concetti sono diventati normali.

FRANCESCO:
Da come lo racconti sembra quasi che le persone stiano “giustificando” l’IA…

FEDERICO:
Il software per anni si è basato sulle azioni: se schiaccio un bottone, questo deve compiere un’azione. Fine. Quando poi si è iniziato a parlare di User Interface e di User Experience, il bottone di prima doveva avere determinate caratteristiche estetiche. Adesso stiamo insegnando all’intero software che cosa fare quando viene schiacciato quel bottone. Insomma, non è una giustificazione, è una maturazione: invece di dare i comandi alla macchina, noi la istruiamo. Andando avanti, secondo Deloitte, i fattori più importanti sono la leadership esecutiva, la voglia e il desiderio di cambiamento che ruotano attorno ad una visione di come l’AI verrà usata. E anche questo lo confermo. La leadership deve trasmettere un messaggio positivo. Quindi non deve essere diffidente, ma deve crederci vedendo i risultati e le use case che si moltiplicano giorno per giorno a livello mondiale. Bisogna essere più sicuri in questa direzione. Continua Deloitte, i leader di questo settore aumentano gli investimenti nel cosiddetto “change management”. Sicuramente gli investimenti aumentano di fronte ai risultati certi, mentre diminuiscono quelli nella ricerca di una soluzione utopistica. Se c’è da realizzare una soluzione di object detection, e si vede che nel 99% dei casi funziona, allora siamo tutti tranquilli nell’investire. È una cosa che tre anni fa non era pensabile. Non c’erano né statistiche, né use case validi. Prosegue poi Deloitte: in questo frangente è importante che i leader si facciano carico dell’educazione della forza lavoro, eppure solo una piccola parte dei leader lo fa o offre sistemi più user friendly di collaborazione con l’AI, oppure coinvolge la forza lavoro nel design dell’AI. Anche qui, questo è un fenomeno che è cresciuto nel tempo. Adesso abbiamo anche noi i nostri UI/UX designer – esperti nel disegnare interfacce grafiche -, ma per noi è fondamentale trasmettere il valore del dato dopo che l’Intelligenza Artificiale lo ha elaborato. Quindi, la risposta dell’Intelligenza Artificiale – soprattutto per i modelli predittivi – deve essere intuitiva per l’utilizzatore finale. Abbiamo visto che un lavoro di design a quattro mani dà sicuramente più risultati invece di imporlo dall’alto. Anche noi abbiamo fatto questo passo in avanti e Deloitte ce lo conferma che è la strada giusta.

FRANCESCO:
A questo punto direi che abbiamo concluso la prima parte dedicata ad Investire in cultura e Leadership. Riassumendo: la leadership deve essere cosciente di ciò che fa l’Intelligenza Artificiale e deve culturalmente trasmettere il messaggio alla forza lavoro e coinvolgerla. È un ottimo step verso il successo. La seconda azione, invece, è quella di trasformare l’operazione intesa come cambiare i modelli operativi.

FEDERICO:
Secondo Deloitte, sebbene ci siano delle evidenze che stabilire dei processi chiari e ridefinire i processi sia positivo in termini di business, la maggior parte delle aziende non si sta muovendo in questa direzione. Chiaramente, come riportato più e più volte nel nostro podcast, quando si inserisce un software di Intelligenza Artificiale in azienda, alcune dinamiche cambiano, che siano essi i tempi o il modo di lavorare. È chiaro che c’è una percezione sempre maggiore di questo cambiamento, ma nel momento in cui si chiede di risolvere un determinato problema, non è più così chiaro. Quindi c’è un’evoluzione del cambiamento dei flussi di lavoro anche durante il progetto, perché si lavora a quattro mani con il cliente. Bisogna entrare nel suo settore, nelle sue competenze per creare un’AI che risponda alle sue esigenze e sia esperta del suo settore. Quindi, sicuramente questo è uno dei punti che affrontiamo spesso nei nostri progetti. Andando avanti, chi ottiene successo:

(1) Traccia il ROI ottenuto dal modello. Questo lo facciamo anche noi per informazione interna. Spesso abbiamo delle ROI tracciate a livello di log o di KPI raccolte per vedere il modello che cresce nel tempo, ma anche i risultati che dà il modello, quindi per noi stessi, per avvalorare il dataset o per evidenziare i bias.

(2) Documenta i processi per la data governance e dei dati. Questo viene fatto ancora agli albori dei progetti di Bluetensor. Per definire il data set, lavoriamo molto nel documentare i processi di raccolta e diamo conferma di come vanno raccolti nel momento in cui c’è il modello definitivo privo di bias che rispetta le esigenze del cliente. Al di là di dare informazioni e istruzioni, ci sono dei documenti che aiutano e seguono il modello.

(3) Segue la documentazione delle MLOps. Anche qui, nella fase di deploy del modello o di tutta l’applicazione in produzione o nei vari ambienti, ci sono da seguire determinate regole. Tutte le fasi sono documentate perché devono essere eseguite in una certa sequenza.

(4) Mette in leva una piattaforma comune per lo sviluppo del modello e delle sue applicazioni. Questa è quasi un’esigenza del cliente che arriva con il tempo, non è tanto nostra. Nel momento in cui il cliente affronta la prima applicazione e vede i primi risultati, allora inizia a pensare a nuovi problemi da risolvere. Per questo motivo noi non distribuiamo una singola applicazione, ma già pensiamo ad una piattaforma – è una soluzione comune – con più modelli di AI che collaborano assieme. È un processo fisiologico, ma noi consigliamo comunque di ingegnerizzare maggiormente in base all’esperienza che abbiamo. Anzi, alcune linee dei nostri framework sono già ingegnerizzati per pensare che ci siano più modelli che collaborano assieme.

(5) Utilizza un framework per la gestione dei rischi dell’AI per assestare i bias.

(5a) La mancanza di spiegabilità e di trasparenza nelle decisioni dell’AI, la privacy dei dati, la cattiva gestione del consenso e la mancanza di sicurezza sono rischi etici che preoccupano l’intera azienda. È una cosa contro cui noi sbattiamo la testa spesso. Abbiamo i manuali, gli approcci, le guide che chi segue il progetto deve seguire per identificare e affrontare tutti i possibili rischi all’interno dello sviluppo di un progetto di AI.

FRANCESCO:
Mi colpisce che voi sbattiate la testa contro questo ultimo problema, poiché significa che sta diventando una necessità anche per le aziende clienti.

FEDERICO:
All’inizio i progetti di AI erano legati ad un preciso scopo all’interno di un’azienda, quindi era già chiaro che i dati che ci avrebbero cosnegnato sarebbero stati utilizzati per uno scopo e per creare il modello che poi sarebbe andato in produzione. Allargando poi le esigenze dell’azienda, si va comunque a raccogliere altri dati per creare nuovi modelli. I dati non sempre sono disponibili e leggibili dall’azienda, perciò si va a cercarli esternamente. Si inizia a costruire dei portali di raccolta dei dati nei casi in cui dobbiamo scontrarci con il consenso e con i limiti giustamente imposti dalla privacy.

(5b) Non gestire questi rischi è, per il 50% degli intervistati, uno degli inibitori della crescita di un progetto di AI. Lo confermo. Se questi problemi non escono all’inizio, usciranno durante o addirittura alla fine del progetto. Più avanti si va nel progetto, più emergono questi problemi. Se non erano evidenti all’inizio, allora bisogna cambiare strategia – che non è proprio immediato una volta che abbiamo creato data set e modelli.

(5c) La prima soluzione per i leader è incaricare gli sviluppatori di AI di intervenire subito nel risolvere i problemi di natura etica e di educare la forza lavoro ad una collaborazione produttiva con l’AI. Anche questa è la normalità. Il modello viene testato prima di andare in produzione. Se arriviamo all’ultimissima versione pronta per andare in produzione e si scopre che ci sono dei bias (oltre a tirare le orecchie a qualcuno) significa che abbiamo fatto male il nostro lavoro. Normalmente il data set viene fatto in fase di avvio di progetto, ci sono i documenti di data analisys, quindi si arriva alla messa in produzione comunque dopo settimane di lavoro. E il modello deve rispecchiare le esigenze e le regole che ci siamo dati.

FRANCESCO:
Chiudiamo anche questo capitolo. È molto interessante che tutte queste questioni, il consenso, la spiegabilità, la trasparenza, la privacy stiano venendo fuori e che tu abbia confermato che le percentuali sono corrette, anche in Italia. Questa non è una maturazione, ma è un salto quantico rispetto a quello che succedeva ormai tre anni fa. Passiamo quindi alla terza azione: Selezionare dei casi d’uso che possano aiutare ad accelerare il valore. Qui con “accelerare il valore” si intende ridurre i tempi di estrazione di valore da un progetto di Intelligenza Artificiale. Questo perché una delle sfide più comuni è proprio quella di dimostrare il valore di business di un progetto di AI.

FEDERICO:
Secondo Deloitte, è opportuno che le aziende inizino ad investire in piccoli progetti che possano dare risultati nel breve termine, così da avere un ROI più rapido e iniziare meglio il processo di educazione culturale della forza lavoro. È tutto perfettamente normale. Nei casi più freddi si comincia dalla PoC, ma altrimenti iniziamo da progetti anche completi, ma di nicchia e contorno rispetto all’architettura aziendale.

FRANCESCO:
C’è proprio la necessità di cominciare con questi progetti di contorno invece che core?

FEDERICO:
Spesso sì, poiché al di là della quantità di investimenti in sè, è comunque un tentativo per l’azienda. Perciò si prova in fondo, nelle attività più piccole e marginali, e pertanto meno critiche. Se poi funziona, è sempre possibile chiamre Bluetensor.

Riprende Deloitte dicendo che le piccole aziende investono più facilmente negli assistenti di AI per mancanza di staff e di personale skillato, mentre le più grandi utilizzano l’AI per ottimizzare le catene di produzione. Per esempio, Alexa, Google Now e Siri sono sicuramente di supporto anche con le loro skill, e con i loro upgrade per cui puoi già entrare in contatto con un’Intelligenza Artificiale anche senza spendere una fortuna. Le aziende di trasporto investono nella gestione dei componenti di ricambio e nella gestione delle flotte. Anche questo l’abbiamo visto: abbiamo fatto dei modelli predittivi sia per la gestione in magazzino sia per le previsioni, quindi è una cosa “normale”, poiché è un campo in cui l’AI ha già dato i suoi risultati. Nel retail si investe nelle promozioni supportate dall’AI per ottenere più vendite. Anche qui possiamo confermare. Per creare le promozioni anche ad hoc bisogna elaborare migliaia di dati e sicuramente è un’area in cui l’AI può dare molto aiuto.

FRANCESCO:
Posso confermare che alcuni magari non sanno nemmeno che stanno utilizzando l’Intelligenza Artificiale. Per esempio nelle Facebook Ads si parla più di algoritmo in senso molto generico.

FEDERICO:
Tutt’ora l’Intelligenza Artificiale fa paura. Nasconderla dietro la frase “c’è un nuovo algoritmo di supporto alle vendite”, di fatto, è molto più conveniente. Eppure non ho detto la parola AI. C’è sempre un timore residuo nei confronti dell’IA.

FRANCESCO:
La quarta e ultima azione è: orchestrare tecnologie e talenti. Per le aziende che iniziano un progetto è più facile chiamare delle aziende esterne che potranno poi educare i talenti che verranno assunti internamente.
Sembra un processo quasi fisiologico. La minoranza delle aziende decide di prodursi le Intelligenze Artificiali in-house e la pratica più comune rimane il co-sviluppo assieme all’azienda esterna. Puoi confermare che è la pratica più comune?

FEDERICO:
Noi quando affrontiamo un progetto abbiamo sempre un problema che è lo stesso da sempre. Il cliente ha il contesto, ha le conoscenze e conosce il suo mercato. Lo sviluppatore, nel momento in cui sviluppa un servizio per questo cliente, ha le competenze dell’algoritmo, del software, dell’architettura. Sa come risolvere il suo problema, ma spiegato in informatichese. Entrambe le parti non raggiungono l’obiettivo lavorando da sole, è evidente. Non c’è la soluzione a scaffale se affrontiamo un progetto come servizio, quindi creando un prodotto ad hoc. Ogni cliente, per quanto simile ad un altro, ha le sue specificità che fanno la differenza fra il risultato positivo o mediocre dell’Intelligenza Artificiale. Bisogna lavorare assieme e comunque condividere le conoscenze, soprattutto all’inizio, poiché sono due mondi che viaggiano in parallelo. Spesso, per quanto il problema sia stato già affrontato dall’azienda di sviluppo o affrontata con altre aziende, è un nuovo rimettersi in gioco.

FRANCESCO:
Nel lungo periodo però le aziende tendono a cercare la differenziazione e crearsi la propria soluzione di Intelligenza Artificiale in-house.

FEDERICO:
Qui sono un po’ critico. A certe realtà questo sistema dà un vantaggio. Non è detto che sia così per tutte. Non è una questione di risparmio come può sembrare. Per esempio, anni fa c’era “l’esperto di siti Internet”, quando si facevano i siti in HTML. Alla lunga, lo sviluppatore di siti Internet si è diviso. Adesso c’è l’esperto di grafica, quello di codice, quello di UI, quello di UX e così via. Quindi, avere la persona che ti ha sviluppato il sito aziendale e lo tieni lì perché ha sviluppato il sito aziendale, non è detto che anche aggiornando giorno dopo giorno il sito rispecchi sempre le tendenze di moda o di usabilità. Ripeto, la UI/UX non è un plusvalore. È il valore di partenza per avere qualcuno che interagisce con le tue attività nel modo corretto. Quindi, sicuramente portarsi in casa dei data scientist per dei progetti è sicuramente interessante. C’è da valutare quanto pesa quest’area rispetto al business dell’azienda. Il che dipende dal business. Ho visto assolutamente funzionare questa modalità, lavorando con i data scientist interni in aziende che non sviluppano software, oppure lì dove il software è solo una parte accessoria del loro prodotto ed è andata assolutamente bene. Altre volte questi data scientist sono un po’ abbandonati in un’azienda in cui il software è percepito come un add-on, ma nulla di che.

FRANCESCO:
Siamo arrivati alla fine di questo State of AI. Io ricordo a te che ci stai leggendo che se hai un’idea pronta per un progetto di Intelligenza Artificiale, ci potete contattare compilando il modulo che trovare QUI. Oppure ci potete inviare un’email a info@bluetensor.ai. Oppure potete contattarci al numero verde 800270021.